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Stupor Mundi

Storie misteriose tra leggenda e realtà

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Nel cuore della Palermo del XVIII secolo, tra i vicoli stretti e bui della città antica, si aggirava una figura che incuteva timore, Giovanna Bonanno, conosciuta da tutti come “La Vecchia dell'Aceto”. Il suo nome sarebbe passato alla storia non per atti di eroismo o di carità, ma per la macabra leggenda che avvolgeva la sua esistenza.

Giovanna era una donna anziana, dal volto scavato e lo sguardo acuto, avvolta in abiti logori e un mantello consunto che la faceva somigliare a una figura uscita dalle storie di stregoneria.

Nessuno sapeva con certezza da dove provenisse, ma si diceva che un tempo fosse stata una mendicante, vivendo ai margini della società. Tuttavia, il destino le aveva riservato un ruolo ben più oscuro.

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Si racconta che la sua ascesa nell’ombra iniziò quando, per caso, scoprì un veleno letale: una miscela di aceto e altre sostanze tossiche che, se somministrata lentamente, causava la morte della vittima senza destare sospetti. Il veleno sembrava essere particolarmente efficace perché simulava sintomi di malattie comuni dell'epoca, come febbri e sfinimento improvviso, rendendo difficile il collegamento con un atto criminale.

La sua conoscenza delle erbe e dei veleni la rese una sorta di “risolutrice di problemi” per molte donne infelici della città.

Le mogli trascurate, abusate o semplicemente stanche del proprio matrimonio si rivolgevano a lei in cerca di una via d'uscita, e la Vecchia dell'Aceto forniva loro la soluzione, vendendo piccole ampolle di veleno con precise istruzioni su come usarle. Ma il suo commercio non si limitava alle sole mogli infelici.

Si diceva che anche alcuni uomini d'affari e aristocratici avessero fatto ricorso ai suoi servigi per eliminare rivali scomodi, rendendo il suo veleno un'arma silenziosa e insospettabile.

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Per anni il suo commercio clandestino prosperò nel silenzio e nell’ombra. Giovanna si muoveva con discrezione tra le strade di Palermo, vendendo la sua “cura” alle donne disperate e mantenendo un basso profilo. Nessuno sospettava di lei, nessuno osava tradirla. Ma il destino è implacabile, e il suo segreto non sarebbe rimasto tale per sempre.

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Un giorno però, una delle sue clienti, presa dal rimorso e dalla paura, confessò il crimine a un prete, rivelando l'esistenza della Vecchia dell'Aceto.

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La notizia si diffuse rapidamente e giunse alle orecchie delle autorità, che iniziarono un’indagine per smascherare la misteriosa avvelenatrice. Con abilità e astuzia, gli uomini di giustizia riuscirono a catturarla.

La Bonanno fu imprigionata in attesa del processo, i suoi crimini erano ormai noti a tutti, si dice che durante gli interrogatori non mostrò segni di pentimento e cercò di difendersi affermando che il suo “aceto” non fosse veleno mortale, ma un rimedio per alleviare le sofferenze.

Tuttavia, le testimonianze dei suoi clienti furono decisive: alcune persone dichiararono di averla vista consegnare il veleno, mentre altre raccontarono degli effetti letali dopo l’uso della sua miscela.

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Giovanna Bonanno fu processata in un’aula gremita, dove il popolo assisteva con morbosa curiosità. Le accuse erano gravissime, le prove schiaccianti.

Nonostante il suo tentativo di difendersi, sostenendo di aver solo venduto un rimedio senza sapere le reali intenzioni delle sue clienti, la sentenza fu inesorabile: condanna a morte.

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Il giorno dell’esecuzione, Piazza Vigliena era gremita di persone, la forca svettava al centro della scena, minacciosa, pronta a compiere il suo macabro dovere.

Mentre la corda si stringeva attorno al suo collo, un ultimo respiro sfuggì dalle sue labbra e la sua anima abbandonò quel corpo ormai stanco.

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Si racconta che dopo la sua morte, molte delle donne che avevano acquistato il suo veleno furono colte dal panico e si sbarazzarono delle prove, mentre altre furono scoperte e giustiziate a loro volta.

Il mito della Vecchia dell'Aceto continuò a vivere nei racconti popolari, e nei vicoli di Palermo si mormorava il suo nome con un misto di paura e fascinazione.

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Ancora oggi, nelle notti più buie, alcuni affermano di sentire sussurri nel vento o di vedere un'ombra avvolta in un mantello logoro aggirarsi silenziosa tra le strade della città vecchia, un eco di un passato fatto di misteri, intrighi e morte.

dello scrittore francese Renè Bazin

Renè Bazin nel suo viaggio in Sicilia avvenuto nel 1891 e nel suo libro pubblicato nel 1892, descrive con vividezza la Sicilia di fine Ottocento, offrendo uno sguardo dettagliato sui paesaggi, le città, le tradizioni e la vita quotidiana degli abitanti.

Bazin si sofferma a descrivere la bellezza dei paesaggi siciliani di quel tempo, egli racconta delle campagne assolate, delle colline ricoperte di ulivi e agrumeti e delle coste bagnate da un mare cristallino. Il paesaggio siciliano gli appare come un mosaico di colori e profumi intensi.

Lo scrittore visita diverse città, tra cui Palermo e ne racconta il fascino architettonico e storico e si sofferma sugli influssi arabi e normanni presenti nei palazzi e nelle chiese della città.

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E proprio a Palermo, visitando il Parco d'Orleans scrive: “... una serie di scale di ferro esterne scendono fino ai piedi del palazzo, nel parco. Il primo cespuglio che scorgo è tutto stellato d’azzurro. Siccome sono in pieno paese di fiaba, lo chiamo con disinvoltura un gelsomino blu. E lo è forse, se ne esistono. Riconosco delle palme, alte quanto quelle di Tunisi, fasci di bambù, liane fiorite. I vialetti girano in mezzo ad una piccola foresta di essenze rare. Un gruppo di alberi la domina. Sono enormi, con i tronchi nodosi e contorti, i rami piegati a spaccature, con le foglie carnose che formano larghe onde.”

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E poi, seguì il consiglio di chi gli disse: “ ... Al calar della notte, prenda una vettura e vada a fare una passeggiata al Foro Italico. Lì vedrà una parte della società palermitana, ascolterà la musica e il mare. Soltanto allora potrà giudicare se Palermo è stata giustamente chiamata la felice.... “ “... Venuta la sera, seguii il consiglio e mi feci condurre alla Marina. La grande passeggiata di tutti era iniziata, andavano a piccoli gruppi, senza fretta, con la noncuranza della conversazione che indica una passeggiata abituale, a respirare la brezza di mare e a vedere passare le carrozze. Figuratevi una banchina lunghissima e larghissima, leggermente arcuata per seguire la curva della riva, piantata di alberi, le carrozze vanno e vengono, e riprendono il passo quando si sentono le prime battute di un valzer o di una mazurka, ...”

Bazin descrive con interesse le abitudini degli abitanti della Sicilia, dal lavoro nei campi alla vita nei mercati, fino alle festività religiose. Racconta delle processioni e delle celebrazioni popolari, sottolineando la forte spiritualità della popolazione.

Durante il viaggio, Bazin sperimenta l’accoglienza calorosa dei siciliani, racconta di incontri con pastori, contadini e nobili locali, mettendo in risalto il forte senso di ospitalità che caratterizza l’isola, “una terra in cui splendono i colori, parlano le pietre e stupiscono le stelle” e si scopre il senso di un’irripetibile felicità.